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adrycinardo99

Il ragazzo dai pantaloni rosa: il cinema ci ricorda chi siamo



Tutti vanno al cinema. Tutti piangono. Tutti ne parlano. E anche le cifre al botteghino parlano chiaro: Il ragazzo dai pantaloni rosa è al primo posto tra i film più visti al cinema nel 2024. A superarlo il pluripremiato film dell'attrice e regista Paola Cortellesi C'è ancora domani, campione d'incassi del 2023.

A quanto pare le storie con sfondo sociale vanno forte in questi ultimi anni. A me, però, sembra un paradosso, stando a ciò che sento dire ogni giorno: la gente ha bisogno di televisione frivola, ha bisogno di staccare la mente dal telegiornale intriso di sangue, sangue di tutti i tipi: sangue di femminicidi. Sangue di civili che subiscono guerre che non hanno deciso loro. Sangue di bambini che uccidono altri bambini. Sangue di ragazzi che decidono di togliersi la vita perché sentono che il mondo esterno sia troppo per loro.

Nell'ultimo periodo tutti hanno l'impressione che si senta molto di più parlare di queste tragedie. Ormai siamo alla frutta. Tutti dicono che la gente abbia bisogno di staccare il cervello per un po': c'è chi lo fa con l'alcol, chi con le droghe, chi con la televisione e la creazione di un palinsesto pigro, che mette in scena teatrini ridicoli: televisione italiana media per un popolo italiano medio. Poi però questo popolo medio riempie i cinema nel momento in cui si fa leva sugli stessi temi che riempiono le pagine di cronaca e di cui tutti sono stanchi. Ma quelle stesse persone non erano affamate di superficialità? O forse quelle persone sono state abituate a pensare che la frivolezza attenui, come per magia, i problemi (e che un bicchiere di vino con un panino facciano la felicità)?






Forse l'italiano medio sta aprendo gli occhi davanti al superfluo, sta ad ascoltare il suo bisogno di scavarsi dentro, di ritrovarsi nelle storie degli altri, di immedesimarsi, di emozionarsi per salvarsi davvero. Per salvarsi e per salvare gli altri. Questo fa il cinema, oltre i fenomeni da baraccone, oltre le stelle, i divi di hollywood, i riflettori, le paillettes, le luci e i botulini (non quelli negli alimenti) rimpolpanti, oltre il culo perfetto, il viso perfetto, la maschera perfetta. La gente ha bisogno di verità, e in C'è ancora domani e Il ragazzo coi pantaloni rosa l'ha ritrovata. Sì, ritrovata perché la verità sembra essere scomparsa ormai, sommersa dalla valanga di notizie con cui ogni giorno dobbiamo combattere. Siamo estenuati da questa continua gara acchiappa-like, acchiappa-consensi, ma che vuole acchiappare un mondo fatto di fuffa, un mondo inconsistente, che basta soffiarci poco e svanisce nel nulla, come se non fosse mai esistito... .

C'è ancora domani e Il ragazzo dai pantaloni rosa, invece, entrano in punta di piedi e raccontano delle storie facendo semplicemente parlare i personaggi che sfondano la macchina da presa e si siedono vicino al pubblico e assistono alle loro vicende, alla loro vita, che ridono, piangono, soffrono insieme a loro. Ciò è stato possibile perché c'è stato chi ha investito nelle storie importanti, in quelle che non si dimenticano facilmente, che scuotono le coscienze. Perché mi rifiuto di credere che questi due film non sortiscano alcun effetto nelle persone che vanno a vederlo. Perché molte persone potranno pure andare al cinema a vedere i titoli più acclamati del momento per postare una storia sui social e il giorno dopo vantarsi di essere andate a vedere quel film, ma questa sarà solo la superficie, nel profondo qualcosa resterà, e magari prima o poi quelle storie viste in un piccolo cinema di paese come in un multisala bucheranno lo schermo ed entreranno, seppur con diverse vesti, nelle vite dei loro spettatori.





Ora voglio concentrarmi su Il ragazzo dai pantaloni rosa. Voglio condividere con voi una riflessione che ho scritto dopo essere uscita dal cinema e aver pianto tutte le lacrime che avevo in corpo. Perché una storia non fa breccia nel cuore di una persona solo se è più o meno commovente: quella storia fa breccia nel cuore di una persona perché quella persona, in un modo o nell'altro, si rivede in ciò che sta guardando. Questo è il potere del cinema: farci ricordare chi siamo.



Video preso da internet


AL BUIO È PIÙ FACILE ESSERE

SÉ STESSI


Claudia Pandolfi, nei panni di Teresa, la mamma di Andrea, siede, come me in questo momento, davanti alla pagina bianca di un pc, sporcata da macchie di nero. Prendono la forma di queste lettere: “Oltre i pantaloni rosa. Perché il sacrificio di uno possa diventare riscatto per altri”. Non ricordo le parole esatte, ma il concetto era questo.

Così si conclude il film ma, prima della dissolvenza e dei titoli di coda, Claudia alza lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime, verso la macchina da presa, che si allontana piano piano. Ora la dissolvenza, appare il titolo, rigorosamente rosa, del film: “Il ragazzo dai pantaloni rosa”. Ma io non aspetto di vedere il buio dello schermo. Io guardo gli occhi di quella mamma, mi ci rifletto. Quegli occhi bastano a dire tutto. Scoppio a piangere. Anche se non sono mamma e probabilmente non lo sarò mai. Oggi mi è un po’ più chiara la frase “I morti muoiono una volta sola, sono i vivi a continuare a morire, pezzo dopo pezzo, ogni giorno”.

Sono scoppiata in lacrime perché ho visto il dolore di una madre che da un momento all’altro perde un figlio. È qualcosa contro natura, un genitore che vive più di un figlio. Un figlio strappato via brutalmente, non da una malattia, non da un incidente, ma dalle sue stesse mani. Ed è questo ciò che fa più male, brucia forte, brucia tanto, brucia per sempre tutto quello che incontra: cuore, stomaco, fegato, cervello, ossa, muscoli. Perché mio figlio ha scelto di togliersi la vita e non di abbracciarmi? O forse, se l'avessi abbracciato io un po' di più, non se ne sarebbe andato. E io rabbrividisco al solo pensiero di mettermi nei panni di un familiare, di un amico, di una madre che deve convivere per tutta la sua vita – che sia un giorno o cento anni – con questo peso.

Sono scoppiata in lacrime perché ho visto il viso di Andrea Spezzacatena a fine film. Ho visto i suoi occhi nascosti dietro ai suoi occhiali rettangolari, il sorriso di un adolescente che voleva solo vivere in pace ed essere come tutti gli altri. All’inizio del film c’è una frase fuori campo recitata dal protagonista: “Il nome Andrea mi piaceva perché di Andrea ce ne sono tanti. Mi rendeva invisibile”. E, per ironia della sorte, Andrea è diventato tutt’altro che invisibile per colpa di ragazzi troppo immaturi, probabilmente inconsapevoli del male che un essere umano è capace di fare. Perché non voglio credere che degli adolescenti abbiano deciso di essere così cattivi verso un ragazzo la cui unica colpa era quella di voler essere sé stesso.

Sono scoppiata in lacrime perché ho visto un ragazzo semplice, dolce, talentuoso, e ho provato una nostalgia strana. Ho pensato a quel compagno/a che non ho avuto, a quella spalla che non c’è mai stata davvero. E mi è presa la nostalgia soprattutto perché forse non l’ho saputa riconoscere io, in mezzo alla folla. Forse sono io che non so scegliere le persone, forse è una cosa normale, non lo so, so che io a questa cosa ci penso spesso. È proprio questa nostalgia a portarmi oggi, ancora una volta, a tale riflessione: siamo tutti bravi ad andare a vedere film del genere, a commuoverci, a scrivere delle belle parole. Ma quanti di noi agiscono davvero? E non mi riferisco solo nel momento in cui assistiamo ad atti di bullismo. Io mi chiedo spesso: sono in grado di prendermi cura degli altri, di essere paziente, di amare davvero? O sono solo un’egoista in cerca di affetto per dimostrare a me stessa di non essere tale, per non svegliarmi un giorno e avere il rimpianto di non aver vissuto e di essere piombata nella più totale solitudine? Chi può davvero, dal profondo della propria coscienza, affermare di non essere un ipocrita? Io penso che tutti, almeno una volta nella vita, lo siamo stati o lo saremo. Una volta una mia collega di università, dopo aver letto delle parole probabilmente simili a queste, mi disse “Ma che stai dicendo? Tu hai un cuore grande”. Quella volta mi limitai a ringraziare. Oggi rispondo: tutti noi ne siamo dotati, la vera sfida è mantenerlo nel tempo, proteggere la propria capacità di amare incondizionatamente da tutto il male che la vita può farci. Solo se resteremo fedeli a noi stessi potremo cambiare senza snaturarci e continuare ad amare fino in fondo. Questo è ciò che ho capito fino ad oggi. Non so se è un’utopia, una fantasia nata dai troppi cartoni animati e film visti, ma io ci credo.

P.S.: Unico difetto del film, anzi, del cinema: il buio in sala durante i titoli di coda è durato troppo poco, mi sono ritrovata a singhiozzare a luci accese nel bel mezzo della sala, così ho dovuto forzare i miei occhi a smettere di sfogarsi. Perché si sa, al buio è più facile essere sé stessi.


Articolo a cura di Adriana Cinardo

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