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Immagine del redattoreIrene Mascia

Poesie Emergenti: Davide Picardi

Tace incagliata, la falena bianca,

Dopo una resistenza

Tra i fili opachi di vedova nera.

La chiave ancora indugia

Nel silenzio di un eremo di stanze,

Dai sogni distanti:

Un ultimo giro

Per sempre suggellare

Nell’ombra di un erebo urbano,

La reietta luce in esilio.

Davide Picardi



Disegno di Alessandra Sodano.

 

Biografia

Laureato in Lingue e culture comparate in lingua russa e inglese all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, il sottoscritto è attualmente iscritto alla medesima università al corso magistrale di “Lingue e comunicazione interculturale in area mediterranea”. L’interesse per le lingue straniere ha accompagnato la sua passione per la scrittura.

Davide Picardi ha partecipato a vari eventi di poesia del napoletano, come “ArsVocatAdArtes” della galleria artistica WeSpace, o alla terza edizione del “Premio Maschera di Pulcinella città di Acerra”, evento organizzato dal gruppo letterario “Linguaggi convergenti”. Presso WeSpace, grazie alla collaborazione col gruppo letterario “Mosse di Seppia”, ha allestito anche una rassegna di poesia e fotografia intitolata “Immaginando”, tenutasi dal 07 al 10 di settembre 2020.

Davide Picardi ha pubblicato per la rivista “Kairos”, per l’associazione “Poesie Metropolitane”; e da marzo 2021 collabora per “Il Pickwick”, un magazine di cultura, critica e narrazioni.




Due parole dell’autore....

Non vi è un titolo nella poesia e questa può avere, a mio parere, molteplici interpretazioni (in genere lascio ai lettori la libertà di leggere il componimento con la loro prospettiva). Tuttavia, se devo dare una chiave di lettura, allora una può essere questa: la serie di immagini evocate descrivono la precaria condizione esistenziale di clausura in cui si versa nell'ultimo periodo, ovvero quella condizione d'impotenza, quella condizione d'impossibilità a giostrare la propria vita in libertà.

 

La prima cosa che colpisce in questa lirica è l’accostamento di colori; il bianco di una falena, il nero intrinseco nel nome dell’animale che tesse la tela che la rinchiude. Un gioco a tratti fugace che poi esplode nella clausura, nell’inconciliabilità, nella luce in esilio. Una luce che si esprime senza titolo, un focus stretto sulla natura che si amplia sull’esistenza, una vita che si interrompe con la caducità del battito d’ali di una falena, una sensazione opprimente come una ragnatela di vedova nera.

Ma finché c’è poesia, c’è speranza: anche senza quel titolo che spesso racchiude l’interpretazione che spetta a chi legge, anche senza dilungarsi per pagine intere, (anzi, forse proprio per questo) questa poesia arriva e colpisce. E nell’immagine della chiave che chiude per sempre le stanze non si può non ritrovare un velo di protezione, di intimità; ma si può davvero credere di essere protetti se si è rinchiusi? Se la verità è che stiamo andando, soli, a sbandare verso i fili opachi di ragnatela?

Irene Mascia


Disegno di Koshi.
 


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